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Giorgia Soleri sull’endometriosi

Che cos’è, spiegato in modo semplice. Cosa manca. Divulgazione contro la negazione che vuole le donne abbonate al dolore. E intanto nasce “Antonia”, la prima serie tv dedicata alla malattia

  • 2 maggio, 14:35
  • 2 maggio, 15:31
Giorgia Soleri

Giorgia Soleri

Di: Valentina Mira

Giorgia Soleri: giovane, donna e pure bella. Aveva tutte le caratteristiche per diventare, negli ultimi anni, uno dei tanti bersagli perfetti dell’imperante misoginia reazionaria italiana. Non di rado ridotta a “la ex di Damiano dei Maneskin”, Giorgia Soleri ha l’ardire di portare avanti battaglie che non hanno niente (o poco, come si scoprirà nell’intervista) a che fare con gli uomini. Ha fatto da megafono a ciò che riguarda endometriosi e vulvodinia, riuscendo a portare a una proposta di legge alla Camera italiana.

Giorgia Soleri un giorno sui suoi social cambia nome e diventa Antonia. Chi è Antonia, e perché è importante questa serie tv?
Rispondo per quello che ho percepito: Antonia è una donna nei suoi trenta che a un certo punto fa una scoperta sul suo corpo. Scopre di avere l’endometriosi, e questa presa di coscienza la porta ad affrontare tante altre parti della sua vita. Parti che magari aveva nascosto o che non voleva guardare in faccia. Lo fa in un modo estremamente sincero: è un po’ un’antieroina.

Perché è un’antieroina?
Perché fa le scelte che faremmo noi. Fa delle scelte da essere umano, scelte che a volte sono incoerenti, a volte possono sembrare prive di logica; si possono dimostrare sbagliate, ma sono le cose che lei in quel momento sente, e le segue per trovare sé stessa in questa nuova dimensione, che non è quella del “lieto fine”: è una dimensione estremamente urbana, la definirei così. Talmente realistica da farla sembrare quasi un sobborgo umano, ecco.

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Antonia

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C’è poca informazione su questo, quindi cerchiamo di farla: cos’è l’endometriosi?
L’endometriosi è una malattia cronica infiammatoria che per lungo tempo è stata considerata solo una malattia ginecologica. Fortunatamente negli ultimi anni si sta scoprendo che è quello che in inglese si dice whole body disease, qualcosa che si ripercuote su tutto il corpo. Ad oggi è stata trovata in tutti gli organi conosciuti. Si tratta di tessuto simil-endometriale, quindi simile all’endometrio, che è la membrana che ricopre l’utero quando l’ovulo si prepara a essere (eventualmente) fecondato e che poi viene espulsa di solito durante la mestruazione. Questo tessuto che è simile, ma non uguale, all’endometrio, colonizza altri organi e crea principalmente cisti, lesioni e aderenze. Ancora oggi non si conosce la causa dell’endometriosi e non esiste la cura. Quindi, una volta che ne sei affetta lo sei per sempre.

Quante persone colpisce?
Gli studi più certificati dicono che colpisce una donna su 10. In realtà quelli più recenti parlano di una donna su 9, se non addirittura una su 7. Interessante: ci sono 18 casi in letteratura clinica di endometriosi maschile, in persone nate uomo, senza utero e senza disturbi ormonali. Di fatto non si sa come venga fuori. Il problema principale dell’endometriosi è che ha un ritardo diagnostico medio in Italia e in tutta Europa di 7-10 anni. Io ce ne ho messi 11. E vengo da Milano, con una famiglia che per fortuna ha avuto la possibilità di seguirmi nelle visite sia pubbliche che private, con la possibilità di informarmi tramite internet: ci ho messo comunque 11 anni ad avere una diagnosi. Ma l’endometriosi riguarda anche persone che hanno molti meno strumenti.

Che sintomi ha?
Anche qua, chi lo sa. Conoscendola come ginecologica pensiamo che il sintomo principale sia il dolore durante le mestruazioni, quindi la dismenorrea, con - in base alla localizzazione dell’endometriosi - dei sintomi che girano per il corpo, e possono essere: dolore nei rapporti (solitamente profondo), dolore alla defecazione, dolore durante i movimenti intestinali, dolore durante la minzione. Poi, dipende da dove ti ha colpita. C’è una donna che conosco che per 20 anni ha detto: «Io quando ho le mestruazioni faccio fatica a respirare», e le rispondevano che era ansia, che era stressata, che doveva rilassarsi. Invece aveva l’endometriosi diaframmatica. Ci sono donne che perdono organi, perché ti può mangiare i reni, per esempio. È una malattia che può essere veramente molto grave e in casi per fortuna rari portare alla morte.

Come viene trattata?
Il problema è che la principale terapia che viene usata per gestire la sintomatologia è quella ormonale, quindi viene prescritta o la pillola progestinica o la pillola estroprogestinica e di solito la si prende in modalità continua, quindi senza fare la pausa in cui si ha il sanguinamento da sospensione. Per dire, io non ho le mestruazioni da dicembre 2020. Però questa non è una cura. C’è una percentuale dal 40% al 60% di recidiva dai 5 anni successivi all’operazione. Non tutte arrivano all’operazione, nel senso che se si riescono a tenere a bada i sintomi “semplicemente” con la terapia ormonale di solito non si viene operate. Altra cosa simpatica: il 20% delle persone con endometriosi è asintomatica. Quindi spesso lo scopre con dei danni agli organi gravissimi, deve fare operazioni per togliere dei pezzi di organi, perché l’endometriosi se li è mangiati tutti.

Cos’è che manca?
Di base due cose. Una è la ricerca, che però non è solo quella scientifica, per scoprire i perché e le cure. L’altra è la formazione: nelle università non va fatta studiare solo nell’ambito della ginecologia. Calcoliamo che un medico di base lavora per 8 ore al giorno, consideriamo un’ora a paziente (anche se di solito sono molti di più); in media vedrà almeno una persona al giorno con l’endometriosi. È importante che anche il medico di base, appunto, sappia riconoscerne la sintomatologia e indicare alla paziente dove andare. A me per anni (vomitavo, svenivo, stavo malissimo) è stato detto: «Ma no, è normale, sei tu che sei un po’ agitata. Ti devi rilassare». Quando avevo dolore nei rapporti: «Beviti un bicchiere di vino, così ti passa». Avevo sedici anni, spoiler.

A livello istituzionale (perché poi chi sta male non può aspettare che si facciano rivoluzioni, e dunque è costretto a muoversi anche su quel piano)?
Il riconoscimento istituzionale è l’altra parte mancante. Per quanto riguarda l’Italia, ad oggi l’endometriosi ha un’esenzione, che però la riconosce solo nel terzo e quarto stadio. Sappiamo che la sintomatologia non è legata allo stadio, e soprattutto che il modello è stato creato dalla Società Americana di Medicina Riproduttiva, quindi è basato non su quanto la malattia colpisce ma su quanto intacca la fertilità o sui danni d’organo. Esempio: a una ragazza che ha operato il mio ginecologo (le hanno tolto un rene, è un secondo stadio), non hanno dato l’esenzione. Inoltre, la certificazione dello stadio ce l’hai solo dopo l’operazione. È chiaro che si va a preservare il più possibile il corpo - più lo si tocca più si creano aderenze - per cui ci sono tante persone che a quest’operazione non arrivano, e magari sono a un terzo o quarto stadio e non lo sapranno mai. In tutto ciò l’esenzione in Italia è ridicola, perché ti dà diritto a due visite l’anno in un centro pubblico e un esame al retto per vedere se hai l’endometriosi rettale, fine.

La serie Antonia è (anche) su una malattia il cui sintomo prevalente è il dolore. Dolore considerato naturale se si è donne, sopportabile, non importa se spropositato. La chiave comica aiuta di certo a farla guardare anche a quella maggioranza di persone che non sa né vuole sapere cosa sia l’endometriosi, ma magari la rende meno accurata su dei dettagli della malattia stessa?
Sono molto combattuta su questa cosa, perché da un certo punto di vista - da persona malata e attivista che sulla malattia si documenta di continuo - vorrei sempre che quando se ne parla venga fatto nel modo più preciso possibile, perché sappiamo che le definizioni sono importanti. Per esempio, la distinzione tra tessuto simil-endometriale e endometriale cambia tutto il filone di ricerca. D’altra parte penso che una serie non abbia la missione di educare: Antonia è la prima serie della Storia, che io sappia, in cui la protagonista ha l’endometriosi. E l’endometriosi è una parte fondamentale della sua vita, non l’unica, ma fondamentale. Questa chiave tragicomica di raccontarla è perfetta: finalmente veniamo descritte come persone che hanno un’esistenza e problemi anche oltre alla malattia, che non è tutta la nostra vita; ne fa parte, a volte anche troppo, ma non siamo malate perfette. Antonia lavora anche su questo. C’è chi si aspetta che quando hai una malattia, anche una di cui si sa pochissimo, tutte le cose che ti vengono dette le fai: è difficilissimo, nella vita quotidiana. Per esempio non dovresti mai bere alcol perché infiamma, ogni volta che hai rapporti dovresti lavarti prima, dopo, mettere il lubrificante, prendere l’integratore, cose che sono complesse nella vita reale. A volte ti prendi la responsabilità di non essere perfetta, proprio perché non sei la tua malattia, sei la tua vita.

Il paradigma della vittima perfetta, che deve rendere conto agli altri delle sue scelte anche nella malattia, non appartiene alle nostre vite né a quella di Antonia. Serie consigliata, in definitiva?
Considera che quando l’ho vista ho pianto come una bambina. Ho pensato a quanto sarebbe stato bello se quando avevo 16 anni e cercavo una risposta e tutti mi dicevano che era normale - e io sapevo che non era normale vomitare e svenire per il dolore - ci fosse stata una serie del genere. Poi ho intervistato sia Chiara Malta che Chiara Martegiani, che sono la regista e l’attrice protagonista nonché ideatrice (che ha raccontato questa storia e lei stessa ha scoperto, in fase di scrittura di Antonia, di avere l’endometriosi), e mi sono commossa parlando con loro. Hanno fatto una cosa grande. Finalmente c’è una protagonista vera, reale, che non è la sua malattia e che fa un sacco di cazzate. Per me - dico una cosa forse esagerata - è la nostra Fleabag con l’endometriosi.

Più sensibilizzazione sull'endometriosi

Il Quotidiano 28.09.2023, 21:16

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