L’intervista

L’uccisione di Dexter Reed, quando la storia si ripete

Il giovane afroamericano è stato crivellato da 96 colpi di pistola da agenti a Chicago; l’esperto: “Esiste un pregiudizio congenito rispetto alle minoranze negli Stati Uniti”

  • 14 aprile, 02:10
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Un cartello apparso a Charlottesville, in Virginia, nel 2018

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Di: Alessandra Spataro

È successo di nuovo. Un uomo afroamericano è stato ucciso per strada da alcuni agenti. Sono 96 i colpi sparati in meno di un minuto, più precisamente in 42 secondi. Il fatto è avvenuto a Chicago il 21 marzo scorso, ma la storia è stata raccontata solo qualche giorno fa quando sono state diffuse le immagini dell’intervento degli agenti in borghese. Dexter Reed, 26 anni, con precedenti alle spalle, è stato fermato perché non aveva allacciato la cintura di sicurezza in auto. Non ha seguito le indicazioni di scendere dalla vettura e ha aperto il fuoco, ferendo un poliziotto. Come risposta è stato crivellato di colpi. Il caso ha riportato alla luce l’annosa questione dell’eccesso di violenza da parte della polizia nei confronti della comunità afroamericana e del grande divario che continua a sussistere nella società americana tra bianchi e minoranze.

Da Trayvon Martin a George Floyd, per citare i due casi che hanno avuto una grandissima eco mediatica, la storia continua a ripetersi. “C’è chiaramente un problema di racial profiling”, ci spiega Stefano Luconi, professore di Storia degli Stati Uniti all’Università di Padova, “un pregiudizio quasi congenito nelle forze dell’ordine per cui persone con determinate caratteristiche etno-razziali sono considerate in partenza una minaccia, dei criminali pericolosi. Questo vale per gli afroamericani ma anche per esempio per un’altra minoranza in forte crescita, gli ispanici”. Statistiche affermano che gli afroamericani hanno il 2,9 volte più probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto alla popolazione bianca.

L’”illusione Obama”

Con l’elezione di Barack Obama nel 2009, la comunità afroamericana ha cullato per un certo periodo l’idea di poter veramente vedere migliorata la propria situazione all’interno del tessuto sociale statunitense. Si è sentita legittimata a far parte delle istituzioni del Paese. “Alla luce dei fatti”, ci spiega il nostro interlocutore, “si è rivelata un’illusione. Obama non ha avuto la possibilità di incidere in maniera significativa su questa maggiore integrazione. E questo ha comportato l’emergere di un senso di delusione nei confronti delle istituzioni che ha condotto allo stesso tempo a una diminuzione della consapevolezza politica e della volontà di mobilitarsi”.

Far fatica a sentirsi parte integrante della società americana

Una comunità quindi in parte emarginata e in parte che si emargina lei stessa. “Abbiamo una visione di questa comunità come qualche cosa di molto coeso, di molto compatto. In verità non lo è. C’è un progressivo scarso coinvolgimento nelle istituzioni”. Un aspetto non di poco conto per portare avanti lotte che permettano un maggiore riconoscimento da parte delle istituzioni e allo stesso tempo di una maggiore tutela. Per Luconi, autore tra gli altri del libro “L’anima nera negli Stati Uniti. Gli afroamericani dalla schiavitù a Black Lives Matter”, la comunità afroamericana ha bisogno di cambiare paradigma per ottenere dei risultati, ed essere attiva su più piani, partendo dalle comunità locali. “Le singole comunità afroamericane devono esercitare una vera e propria lobby sulle amministrazioni locali. Noi ci accorgiamo della questione razziale quando ci sono casi cruenti come quello citato all’inizio di questa intervista. Ma le forze dell’ordine rispondono alle amministrazioni municipali che rispondono a quelle locali. È qui che la comunità afroamericana deve essere presente, creando dei gruppi di rappresentanza che vadano per esempio a parlare con il sindaco per far sentire la loro voce”.

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Una manifestazione a sostegno del movimento Black Lives Matter

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Le distanze quindi si accorciano attraverso il dialogo e la partecipazione. Ma non è un cammino facile da intraprendere anche perché il peso della storia, degli abusi subiti e dei trattamenti iniqui continua a farsi sentire. Basti pensare al complicato accesso alle cure sanitarie. “Nonostante la riforma sanitaria di Obama, l’assistenza medica negli Stati Uniti è particolarmente costosa”, ci ricorda Luconi, “e per una popolazione che è tendenzialmente meno prospera rispetto alla media nazionale queste limitazioni finanziare si fanno sentire”. Gli afroamericani si curano meno, e in particolare le donne, che hanno una ritrosia storica ad accedere alle strutture sanitarie. “C’è una storica tradizione di discriminazione anche in questo ambito, che non le fa sentire a loro agio. Nel passato, per esempio negli Stati del Sud c’era una tendenza alla sterilizzazione forzata delle donne afroamericane. Lo racconta bene l’attivista per i diritti politici e civili Fannie Lou Hamer nella metà degli anni Sessanta che si ritrovò, senza saperlo, a subire una isterectomia”. Per questo motivo si recano meno dal medico, fanno meno prevenzione e si ammalano di più.

L’epoca Biden

Gli afroamericani vivono così tra un passato ancora non risolto e un presente in cui non riescono a far valere le loro rivendicazioni. E questo, come abbiamo visto, ricade nel loro impegno anche politico. Joe Biden, come Obama, ha tentato di dare un maggiore riconoscimento della loro comunità, eleggendo per esempio Kamala Harris alla vicepresidenza. Ha mantenuto anche la promessa di nominare una donna afroamericana alla Corte suprema degli Stati Uniti, e parliamo di Ketanji Brown Jackson. Ma non basta. “Da indicatori politici permane una sottorappresentanza degli afroamericani nelle istituzioni”, ci spiega sempre Luconi, “I senatori afroamericani sono appena 4 su 100, quindi il 4% rispetto a un peso demografico del 14,2% della popolazione. Alla Camera c’è invece un equilibrio: ci sono 62 membri di questa comunità su 435”.

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La sfida si ripete...

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Alla luce di questi numeri viene spontaneo chiedersi come si comporterà alle urne la comunità afroamericana alle elezioni presidenziali di novembre, che quattro anni fa ha sostenuto Joe Biden. “La mobilitazione per Biden nel 2020 è scaturita a mio avviso da fattori estremamente contingenti: da una parte l’eco del caso George Floyd, su cui il presidente Trump aveva una posizione molto allineata ai suprematisti bianchi, dall’altra l’impatto del Covid che ha inciso molto sulla comunità afroamericana, con una percentuale alta di morti, e ha comportato anche un parziale crollo dell’economia con un balzo della disoccupazione. Se non ci fosse stata la pandemia, molto probabilmente Trump avrebbe vinto”. Nel frattempo, però questi effetti sono venuti meno e molti sondaggi danno un aumento dei voti degli afroamericani per Trump. “Ma il grosso della comunità continuerà a sostenere Biden”, conclude Luconi.

Notiziario delle 2.00 dell’11.04.2024

RSI Mondo 12.04.2024, 14:21

SEIDISERA del 13.04.2024: Il servizio di Anna Riva sulle possibili conseguenze per la Svizzera con una rielezione di Trump

RSI Svizzera 13.04.2024, 17:33

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